In questi territori, benché la lunga appartenenza alla Repubblica genovese consenta di riproporre cibi e ricette dell’antica tradizione della “Superba”, si avvertono, però, molto vivide, le eco delle gastronomie più vicine, quella provenzale a Ponente, quella tosco-emiliana, o più precisamente “della via Francigena”, a Levante. La cultura del recupero del cibo è comunque sempre la stessa, e sfida l’incalzare dei secoli. Cambiano le caratteristiche dei piatti e si inseriscono, grazie alla “contaminazione” dei territori vicini, varianti significative. A Ponente, davvero caratteristica appare la versione ligure, peraltro sostanzialmente identica a quella provenzale, del polpettone della buiabesa (in provenzale poupeton de bouillabaisse). Il piatto tipico della Provenza, rappresentato dalla “bouillabaisse”, è costituito dagli avanzi del pescato del giorno non collocati sul mercato o non ancora consumati; il polpettone ligure è, invece, l’ulteriore riuso, e qui sì che siamo nel nostro campo, della parte di buiabesa non consumata. Unita, in più, a fette di pane raffermo. I resti del pesce – dal quale sono state eliminate le pelli, le lische e le teste – sono mescolati con pane raffermo bagnato nel latte. Il tutto è tagliato e sbattuto con tuorlo d’uovo, poi “montato” con l’albume. La cottura avviene a soufflé, dai venti ai trenta minuti, in forno caldo a bagnomaria. I pesci utilizzati sono di diverse tipologie: scorfano, gallinella, calamari, seppie, gamberi e altri, cui si aggiungono anche cozze e vongole. Il polpettone di pesce, diffuso nel territorio da Imperia a Ventimiglia, consente, quindi, di riutilizzare le parti di pesce che avanzano con sufficiente rapidità. Una variante preferita oggi da molti, specie nei ristoranti, è quella delle polpette di pesce.
Anche nel Ponente si ritrova la prelibatezza rappresentata dal minestrone fitto, che in queste zone presenta spesso la variante delle frittelle di minestrone: il minestrone avanzato viene mescolato con farina fino a formare una pastella fluida che, aromatizzata con le erbe e dopo un riposo di quindici minuti, viene fritta in olio caldo. Nei territori del Levante, le vicende storiche e politiche legate ai lunghi contrasti tra le Signorie italiane, per il controllo dello snodo centrale della via Francigena rappresentato dalla Lunigiana, uniscono alle tradizioni liguri versioni e varianti sia dell’alta Toscana sia dell’Emilia. Nel campo del riuso degli avanzi, in particolare di carne, vanno segnalate le diverse versioni del repién (ripieno), piatto unico tipico di alcuni territori dell’odierna provincia spezzina, solo di recente inseriti in Liguria. È il caso dei Comuni di Rocchetta Vara e di Calice al Cornoviglio, divenuti spezzini, quindi liguri, solo a partire dal 1923. Sino a quella data, essi appartenevano alla provincia di Massa Carrara e, ancora prima, ai cosiddetti “feudi malaspiniani”, territori di antica giurisdizione imperiale che, sino alla rivoluzione francese, avevano mantenuto la propria indipendenza sia rispetto alla Repubblica genovese, avanzata lungo la costa sino ad Ortonovo, alle soglie di Carrara, sia rispetto al Granducato di Toscana, insediato a Pontremoli e a Fivizzano. L’autonomia politica si riflette in qualche modo negli usi e costumi della popolazione, in gran parte costituita da contadini, da allevatori e da artigiani, e anche nelle ricette. Il repién è una di queste. Cucinato in fogge diverse tra un paese e l’altro, ha in ogni caso la caratteristica unica e tipica di un piatto di riso nel quale vengono inseriti avanzi di carne e verdure.
Nell’area emiliana, appena oltre i crinali dell’Appennino, lo stesso piatto, con le varianti dei diversi luoghi, prende il nome di “bomba di riso”. L’utilizzo del riso rimanda alle antiche tradizioni secondo cui “il riso nasce, cresce e vive nell’acqua, ma vuole morire nel grasso” e a Capodanno, o comunque nei primi giorni dell’anno, al termine del periodo “stretto” di Natale, “occorre cuocere qualcosa che cresce”. Non solo: nel giorno della macellazione del maiale, si preparava il risotto come primo piatto per la cena, condito con sugo preparato con carne presa dall’impasto della mortadella o delle salsicce. Si comprende, quindi, come l’utilizzo degli avanzi di carne avesse, nel medesimo contesto, quasi un significato “redentivo” degli stessi, un affidarli a una nuova “vita” di carattere culinario. Nell’area spezzina, il repién si presenta come una sorta di polpettone, ma del tutto particolare, in grado di essere consumato a tavola nei giorni seguenti alle feste, o, meglio ancora, di essere portato quale colazione “al sacco” durante le giornate di lavoro o, a beneficio dell’intera famiglia, nei pellegrinaggi ai santuari della zona, come quello alla Madonna del Dragnone, presso Zignago, che sorge isolato sulla sommità di un colle. La ricetta moderna indica la preferenza per determinati tipi di carne, da inserire nel riso, ma rimane il concetto antico che, nel repién, “ci si mette tutto quello che c’è”, nel senso di quanto è avanzato dai giorni precedenti. Altre varianti sono caratteristiche, come detto, di singoli paesi, come la fasciatura esterna del ripieno con foglie di cavolo cotto, tipica di Stadomelli, frazione del Comune di Rocchetta Vara. Nel Sarzanese, estremo lembo orientale della Repubblica di Genova, l’abbondanza di ortaggi, in quella che era una delle due porzioni pianeggianti della Liguria, porta a ricette tradizionali, anch’esse legate al concetto che nulla di quanto si porta in cucina, e poi in tavola, deve essere disperso.
È il caso della zuppa di bucce di piselli, caratteristica della bassa Val di Magra. Si tratta in pratica di una sorta di caratteristica crema “vellutata”, nella quale, oltre alle bucce dei piselli, bollite in acqua salata e “passate” al passaverdura, si aggiungono anche avanzi di pane, le cui fette vengono abbrustolite e messe nel fondo del piatto.
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